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E ricomincio a scrivere (on the 3)


Perché alcune cose vanno raccontate, anche solo al vento.
E almeno qua nessuno avrà da dire che la tiro troppo per le lunghe, perché è il mio  blog e chi non è in grado ascoltare-leggere-guardare-percepire qui ha torto, e io ho ragione (pappappero e specchio riflesso).
Oggi sul 3 faccio quello che mi viene meglio, la pacificatrice.
La spiegazione che mi sono data è che, alla fine, le persone che stanno litigando finiscono per trovare un punto d'incontro fortissimo, qualcosa di incontenibile che li accomuna. Odiare me.
Per favorire l'inevitabile transfert di odio verso di me, cerco di convincere un ragazzo nero di misteriosa nazionalità che quando la sua ragazza indiana incinta di 7 mesi si fa venire una crisi isterica sul bus, deve rassegnarsi a confortarla e non discutere, altrimenti l'autista, pressato dai passeggeri, ferma il bus e chiama un'ambulanza senza alcun valido motivo.
Cerco di convincere la suddetta ragazza indiana, dall'illimitata riserva di lacrime e singulti vagamente in stile Bollywood, che quando il suo ragazzo la fa incazzare dovrebbe evitare di gridare e piangere come se stesse abortendo da un momento all'altro, altrimenti l'autista, pressato dai passeggeri, ferma il bus e chiama un'ambulanza senza alcun valido motivo.

Ogni volta che entro senza preavviso nell'esistenza di una persona, è come se entrassi in una pellicola, una serie di fotogrammi, una galleria di quadri, un patchwork di stoffe diverse .
Il viso magro e imbarazzato del ragazzo, consapevole che il solo colore della pelle lo rende potenzialmente colpevole di qualcosa agli occhi di alcuni passeggeri.
La pancia incredibilmente piccola della ragazza, il mio stupore al pensiero che contenga un essere umano quasi completo.
I capelli neri e crespi dell'uno, neri e morbidi dell'altra che accarezzo con esitazione, pensando alla incongrua iconografia di una madonna.
Seguo con la mente la loro corsa fino al treno per Udine, con il visto per l'India che rimbalza nella tasca di lui. Una famiglia indiana tradizionalista, che neanche sa dell'esistenza di questo bambino e di questo giovane padre dagli occhi spaventati. Una ragazza disperata, che per prima coglie il suo ruolo stereotipato e lo interpreta con veemenza, sfidando suo padre e sua madre ad accoglierla, o cacciarla.
Io porto in grembo il tuo bambino e ti porto nel mio Paese, dalla mia famiglia, anche se per questo verrò ripudiata. Forse non mi meriti.
Io non sono fuggito. Per te e il nostro bambino sono qui, e ti seguirò dove vorrai, anche in India. Forse non mi meriti.
E una rompiballe italiana (ma chi cazzo è?) che continua a ripetere che andrà tutto bene, anche se per qualche misterioso motivo la più spaventata sembra proprio lei.